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La tecnologia, un bene comune per passare da “labor” a “opus”

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di Sara Palazzotti | 4 Dicembre 2014


Ogni nuovo inventore è debitore nei confronti di tutti i precedenti ricercatori, da ora fino al giorno della prima invenzione e scoperta.

La tecnologia deve essere considerata un bene pubblico. E’ inaccettabile che la tecnologia è diventata un fattore di riduzione del benessere e impedimento alla vita degli esseri umani, i quali, sostituiti dalle macchine, restano senza stipendio, quindi senza sussistenza.

La tecnologia deve servire per portare benessere e liberare gli esseri umani dalla schiavitù del lavoro.

tecnologia

Questo può avvenire solo considerando la tecnologia un bene comune, e in effetti lo è, poiché non è altro che il risultato di una catena, lunga secoli e secoli, di idee, di invenzioni, di scoperte di individui indipendenti e anche di ricerca pubblica.

Il beneficio ottenuto con la tecnologia, che consiste anche nell’aumento della produttività, che rende sempre meno necessario il lavoro, anche usurante, degli esseri umani, deve essere distribuito agli stessi.

Solo così gli esseri umani potranno evolvere, evitare l’estinzione e per giunta avere più tempo libero da dedicare alle relazioni, alla famiglia, allo studio, alla cultura, l’arte; e il lavoro sarà “opus”, non più “labor”.

Si deve fare, infatti, se ipotizzassimo di ottenere una tecnologia talmente evoluta da richiedere una quantità di lavoro umano pari a zero, e non si facesse, dovremmo dedurne che tutti gli uomini dovrebbero essere senza reddito e quindi dovrebbero morire, con estinzione del genere umano. Ciò è assurdo. Si tratterebbe di un suicidio di specie.

Scegliamo il sogno, o l’incubo?
Siamo, o potremmo essere, a un passo dall’antico sogno dell’uomo: liberarsi dalla schiavitù del lavoro; ma c’è un grande pericolo: che l’evento si trasformi in un grande incubo, ed è già cominciato, l’incubo.

Facciamo qualcosa per passare al sogno?

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