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Caporalato anche nell’azienda agricola di Sting.

Il cantante si dice ignaro dello sfruttamento operato da una rete di pakistani e italiani
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di Sara Palazzotti | 15 Ottobre 2016


L’anomalia è emersa nella prosecuzione di un’indagine della procura di Prato che prosegue da mesi.

IL GIRO DI SFRUTTAMENTO

caporalato-chiantiSi tratterebbe di parecchie decine di profughi africani, gestiti da un pakistano. I disperati migranti erano costretti a lavorare per miseri 4 euro l’ora in nero nei territori del Chianti, in aziende tra Firenze, Siena, Arezzo.

L’INDAGINE

L’indagine ha visto coinvolti imprenditori italiani del vino, alcuni dei quali possono vantare fatturati stellari, dicono su “Il Tempo” ((Immigrati in nero al lavoro nelle vigne di Sting)). Sicuramente, qualcuno di quegli imprenditori che solitamente si prendono applausi e complimenti per l’alta redditività delle loro imprese.

LE ACCUSE

I pm Sangermano e Canovai avevano contestato i reati di associazione per delinquere finalizzata a una serie di reati tra i quali:

  • intermediazione illecita nel reclutamento di cittadini stranieri,
  • truffa aggravata per il conseguimento di finanziamenti pubblici,
  • interramento di rifiuti speciali,
  • false fatture,
  • frode in esercizio del commercio perché il vino Chianti era in realtà prodotto con uve pugliesi e siciliane oltre la soglia consentita.
STING INCONSAPEVOLE

sting-vino-caporalatoI pm hanno confermato – riferisce Ansa ((Inchiesta caporalato: a nero anche da Sting ma lui non sapeva)) – che Sting non sarebbe stato al corrente che nella sua azienda venivano sfruttati gli immigrati.

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