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Il masochismo cattolico cristiano (introduzione)

Un dossier sul radicamento della mortificazione, della colpa e del dolore come forma di elevazione a Dio
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di / 16 Maggio 2025 / RagionVeduta.it


Autore dell'articolo

Questo รจ l'articolo introduttivo di un dossier sul masochismo e sadismo cristiano cattolico. Analizzeremo testi, pratiche e figure storiche che hanno trasformato la sofferenza in strumento di elevazione fine a se stessa nel cristianesimo. Il tema non riguarda la psicologia individuale, ma la struttura culturale e teologica di una religione che ha legato la salvezza allโ€™annullamento del sรฉ.

Origini: il dolore come imitazione di Cristo

Gli inizi del cristianesimo sono oggetto di dibattito tra storici e teologi. I testi canonici non sono le uniche testimonianze: esistono anche numerosi altri vangeli, cosiddetti apocrifi, lettere, atti e scritti che mostrano una pluralitร  di dottrine, tra cui anche tra le piรน note quella gnostica. Si sa che alcune comunitร  davano maggiore rilievo alla sapienza interiore, altre allโ€™esperienza mistica, altre ancora allโ€™imitazione del martirio. Inizialmente era tutto molto libero. Non c'era stata alcuna strutturazione della religione cristiana. Questo mosaico di punti di vista si รจ progressivamente ridotto con la formazione del canone cristiano ufficiale tra il II e il IV secolo, con i vari concili.

Ai fini del nostro dossier sul sadomasochismo cristiano, partiamo dal concetto comune che il racconto dei Vangeli รจ quello della crocifissione. La sofferenza di Gesรน viene presentata come atto salvifico, ma anche come esempio da seguire. โ€œSe qualcuno vuol venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce ogni giorno e mi seguaโ€ (Lc 9,23).

Nei primi decenni del cristianesimo, il martirio subito era considerato la massima testimonianza di fede. Dopo la fine delle persecuzioni, lโ€™attenzione si รจ spostata sulla sofferenza volontaria. Pratiche come il digiuno, la rinuncia ai beni e la penitenza fisica diventano strumenti ordinari di vita cristiana. Elementi vicini alla filosofia in auge all'epoca nel mondo greco-romano, lo stoicismo, richiamando in modo decisivo la corrente dei predecessori cinici (da cane, che vivevano come i cani). Quelli di Diogene, il filosofo che viveva in una botte. In pratica, precursore dei pauperisti.

Il cristianesimo si intreccia con la cultura dell'impero romano e, dopo tentativi di repressione, diventerร  invece religione ufficiale dell'impero. Codificato dottrinalmente sotto le direttive politiche tramite i concili, tra i quali il piรน importante quello di Nicea, diretto dall'imperatore Costantino I, ne uscรฌ la dottrina cristiana romana. Come detto in altro articolo, una religione sincretica.

Lโ€™Egitto e la scuola di Alessandria

Lโ€™Egitto ebbe un ruolo importante giร  nel I-II secolo. Lโ€™Egitto fu tra i primi centri di diffusione del cristianesimo. In particolare, Alessandria dโ€™Egitto divenne un centro fondamentale della riflessione cristiana, grazie alla sua scuola catechetica (II-III secolo) e a figure come: Origene (ca. 185-254) e Clemente Alessandrino (ca. 150-215)

Lโ€™Egitto fu uno dei luoghi dove il cristianesimo assunse una forma piรน filosofica, mistica e speculativa e divenne quindi uno dei centri principali dell'evoluzione teologica del cristianesimo. Ad Alessandria, giร  nel II secolo, nacque una scuola cristiana in cui si integravano riflessione filosofica greca e lettura allegorica delle Scritture.

Lโ€™ambiente alessandrino era fortemente ellenizzato e filosofico: รจ qui che molti concetti greci (come la subordinazione del corpo, la fuga dal mondo sensibile, lโ€™ascesi) si integrarono nella teologia cristiana.

Origene (ca. 185โ€“254), figura centrale della patristica orientale, elaborรฒ una teologia fondata sullโ€™ascesi, sulla purificazione dellโ€™anima, sulla sofferenza come prova necessaria per elevarsi a Dio. Secondo Eusebio di Cesarea (Storia ecclesiastica, VI,8), Origene si sarebbe anche evirato da giovane, ispirandosi a Matteo 19,12 “ci sono eunuchi che si sono fatti tali per il Regno dei cieli”. Nei suoi testi insiste sulla โ€œmortificazione delle membraโ€ e sullโ€™importanza del dolore come mezzo di conoscenza spirituale. La sua visione fu influenzata dal platonismo e dal contesto ellenistico, e contribuรฌ in modo decisivo alla costruzione di una spiritualitร  cristiana fondata sulla rinuncia.

Ascesi e masochismo: il corpo come problema

I primi autori cristiani hanno attinto in modo ampio alla filosofia greca. Platone, nel Fedone, descrive il corpo come fonte di illusioni e impedimento alla conoscenza. Plotino, nel III secolo, parla della necessitร  di fuggire il mondo sensibile per tornare allโ€™Uno. Queste idee influenzano profondamente teologi come Origene, Gregorio di Nissa e Agostino.

Sebbene i testi evangelici siano stati composti in ambienti ebraici, il cristianesimo si รจ presto diffuso nei territori dellโ€™Impero romano, dove, in quel periodo, lo stoicismo era la corrente filosofica dominante. Seneca (ca. 4 a.C. โ€“ 65 d.C.), contemporaneo di Paolo di Tarso, promuoveva un ideale di autodisciplina, sopportazione del dolore e libertร  interiore.

Questi elementi, pur con finalitร  diverse, hanno fornito un linguaggio condiviso tra cristiani e filosofi dellโ€™epoca. In particolare, lโ€™idea che il dolore possa fortificare lโ€™anima e preparare a un bene superiore ha influenzato la riflessione ascetica, prima ancora delle elaborazioni patristiche successive.

Nel pensiero patristico, il corpo รจ spesso trattato come sede del desiderio e del peccato. La mortificazione diventa un metodo per disciplinarlo. Origene scrive: โ€œChi desidera vedere Dio deve mortificare le membra del corpoโ€ (Omelie su Geremia, VI,3). La teologia della rinuncia non nasce da una lettura esclusiva dei Vangeli, ma dalla combinazione tra Scrittura e concetti derivati dal pensiero ellenistico.

Fondamenti nel Tanakh della sofferenza e diversa finalitร 

Il Tanakh, la raccolta dei testi sacri dellโ€™ebraismo, che corrispondono circa la Vecchio Testamento della Bibbia cristiana, contiene numerosi riferimenti alla sofferenza, interpretata come espiazione, prova divina o disciplina. I Padri della Chiesa ripresero questi passaggi, rileggendoli in chiave cristologica e ascetica.

Tuttavia, รจ importante notare una differenza fondamentale: nel Tanakh, la sofferenza รจ spesso inserita in un processo narrativo di lotta, superamento e riscatto. Il dolore non รจ fine a sรฉ stesso. Lโ€™afflizione del giusto รจ temporanea, e la restaurazione finale รจ considerata segno della fedeltร  di Dio. Come nel caso di Giobbe.

In questo, la visione del Tanakh รจ piรน vicina alla prospettiva stoica che non a quella cinica. Come negli Stoici, la sofferenza ha una funzione formativa: rafforza lโ€™individuo, mette alla prova la virtรน, prepara a un riscatto futuro o a un compimento piรน alto. Il modello รจ quello del giusto che resiste, non del penitente che si annulla. Al contrario, la tradizione ascetica cristiana ha spesso valorizzato una forma di abbandono e negazione di sรฉ che richiama piรน da vicino gli ideali cinici: rifiuto del mondo, rinuncia radicale, mortificazione volontaria come fine stesso della santitร .

Esempi di questo approccio si trovano nel Salmo 51 (โ€œI sacrifici di Dio sono uno spirito affrantoโ€ฆโ€) e in Isaia 53, con la figura del โ€œservo sofferenteโ€, interpretata dalla tradizione cristiana come anticipazione del sacrificio di Cristo. Il libro dei Proverbi (3,12) e le Lamentazioni (3,27โ€“28) illustrano la sofferenza come strumento di educazione divina e disciplina interiore.

Il Secondo libro dei Maccabei (cap. 6โ€“7) e il Quarto libro dei Maccabei, pur con impostazioni diverse, mettono al centro la resistenza spirituale e fisica come prova suprema della fedeltร  alla legge.

Questi riferimenti, letti in chiave allegorica dai Padri della Chiesa, hanno contribuito a costruire un'immagine della sofferenza cristiana come purificazione, rinuncia e anticipo del martirio. Ma il loro significato originale, nel contesto ebraico, era piรน orientato all'affermazione della giustizia, alla speranza nella restaurazione e alla vittoria su ogni afflizione.

Filosofia greca e concezione della donna

La figura femminile, giร  svalutata nella filosofia greca, viene ulteriormente problematizzata nella teologia cristiana. Platone, nel Timeo, suggerisce che lโ€™anima dellโ€™uomo che ha fallito rinasce come donna. Aristotele definisce la donna โ€œun maschio incompletoโ€ (Generazione degli animali, II.3). Queste idee non restano confinate alla speculazione, ma entrano nei testi ecclesiastici.

Nel cristianesimo antico, la donna รจ associata al peccato, alla tentazione, alla debolezza. Questa rappresentazione giustifica un modello spirituale in cui la donna virtuosa รจ colei che soffre, tace, si umilia. Le sante medievali sono spesso descritte come spose di Cristo che accettano la malattia, la fame e la solitudine come segni di elezione.

Questa impostazione si distingue in parte dalla cultura ebraica matrilineare e dal Tanakh, dove le donne ricoprono anche ruoli centrali nella narrazione e nella storia sacra. Figure come Sara, Rebecca, Miriam, Debora, Rut ed Ester sono protagoniste attive, capaci di decisioni coraggiose e di influenza spirituale o politica. Debora guida un esercito, Ester salva il suo popolo, Rut รจ celebrata come madre della stirpe messianica. In molti racconti, la donna non รจ oggetto passivo di disciplina, ma soggetto di alleanza e responsabilitร . Questo contrasto mette in evidenza la distanza tra il simbolismo della donna penitente nella spiritualitร  cristiana e il ruolo dinamico e positivo delle donne nella Bibbia ebraica.

Il dolore come segno di perfezione

Nella spiritualitร  cristiana medievale, soprattutto in ambito femminile, il dolore viene spesso presentato come condizione privilegiata di unione mistica con Dio. Non si tratta solo di sopportare la sofferenza, ma di accoglierla, cercarla, offrirla come segno di purificazione. Il corpo, percepito come luogo del peccato e della fragilitร , diventa anche spazio di testimonianza e sacrificio. Le biografie delle sante mostrano una sintomatologia religiosa in cui fame, ferite, febbri e isolamento sono segni visibili di santitร .

Angela da Foligno scrive che Dio le fece comprendere di non poter ricevere nulla da Lui se non attraverso grande dolore (Libro, I,6). Veronica Giuliani, nel suo Diario, racconta di una โ€œsete di patireโ€ come mezzo di unione. Ma non sono casi isolati: anche Caterina da Siena afferma che โ€œnella pena si trova la veritร โ€ (Lettere, 1378 ca.), mentre Maria Maddalena deโ€™ Pazzi descrive la malattia come dono divino per espiare i peccati del mondo (Estasi, 1607).

Un altro caso significativo, ma successivo, si trova nella Russia del XVIII e XIX secolo, con il movimento degli skoptsy (โ€œeviratiโ€), una setta cristiana radicale che praticava lโ€™evirazione e la mastectomia come forme di purezza spirituale e rinuncia definitiva al peccato. Anche se condannata dalla Chiesa ortodossa e repressa dallo Stato, questa pratica mostra la lunga permanenza, in ambiti cristiani, di unโ€™idea estrema della salvezza attraverso la mutilazione volontaria del corpo.

In queste narrazioni, il dolore diventa linguaggio mistico e percorso di legittimazione spirituale. La sofferenza non รจ sintomo da guarire, ma da esaltare.

La letteratura agiografica e lโ€™iconografia cristiana rendono visibile il dolore. Le immagini sacre mostrano martiri feriti, estasiati, coperti di sangue. I testi descrivono le pene con precisione. Le lacrime diventano segni di grazia, le febbri strumenti di purificazione, la malattia un piacere masochista.

Queste rappresentazioni non hanno solo funzione devozionale. Servono a costruire un modello: il vero cristiano รจ colui che sopporta, ma con piacere. La santitร  coincide con lโ€™annullamento della personalitร .

Continuitร  nella cultura religiosa italiana

Molte pratiche religiose cristiane continuano a valorizzare la sofferenza. Le processioni penitenziali, i voti legati alla malattia, lโ€™idea di โ€œoffrire il dolore a Dioโ€ sono ancora diffuse. Questa dottrina, rivolta soprattutto alle classi sociali piรน umili quando colpiti da malattia o lutti, propone una visione della sofferenza come mezzo privilegiato di salvezza.

La condizione di inferioritร  o di sventura diventa cosรฌ spiritualmente legittimata e persino valorizzata come canale di comunione con il divino causando fenomeni al limite o oltre la depersonalizzazione.

Questa impostazione incoraggia unโ€™accettazione passiva delle disgrazie, delle privazioni e della marginalitร  sociale, presentate come via per rendersi simili a Cristo. Non si tratta di uscirne rafforzati, nรฉ di trasformare il dolore in occasione di crescita, come accade nella visione stoica o veterotestamentaria. Al contrario: nella predicazione rivolta agli umili, la sofferenza รจ proposta come imitazione pura di Cristo sofferente, senza altra finalitร  che la ripetizione del suo sacrificio e cosรฌ sentirsi speciali, scelti.

Questo approccio ha contribuito anche a una certa indifferenza della rete sociale verso le condizioni di disagio. Se il dolore รจ visto come provvidenziale e redentivo, lโ€™intervento umano per alleviarlo puรฒ apparire superfluo, o addirittura inopportuno rispetto al disegno divino. Viene esaltata la capacitร  di rendersi simili a Cristo attraverso lโ€™accettazione delle disgrazie, delle malattie e delle privazioni, senza altra finalitร  che la ripetizione del suo sacrificio. Cosรฌ nella cultura cattolica contemporanea compaiono espressioni come โ€œcroce da portareโ€, โ€œprova mandata da Dioโ€, โ€œsofferenza redentriceโ€.

Queste formule non sono nuove. Derivano da secoli di elaborazione teologica che ha reso il dolore una categoria spirituale. La sofferenza รจ idealizzata.

Sadomasochismo come causa delle afflizioni pedofile

Proprio questa impostazione di esaltazione della sofferenza, secondo la mia opinione, ha dato origine anche a derive patologiche: in alcuni ambienti ecclesiastici – sia masochista che sadico – ha legittimato abusi su minori, giustificati come โ€œproveโ€ e esperienza di sofferenza come elevazione di cui il predatore diventerebbe causa necessaria. La stessa mentalitร  che ha contribuito a omertร  e impunitร .

Conclusione

Riassumendo: il culto cristiano della sofferenza fine a se stessa non nasce dai testi evangelici, ma si sviluppa tra il II e il V secolo, attraverso un intreccio di letture allegoriche, dottrine ascetiche e influenze filosofiche greche. Nei Vangeli si trovano spunti sul valore salvifico della sofferenza โ€“ come nella croce di Cristo โ€“ ma la teologia patristica ne ha fatto un sistema, esaltandola in modo radicale, in parte simile allโ€™etica del filosofo cinico Diogene (ca. 412โ€“323 a.C.).

Il passaggio dal martirio subรฌto alla mortificazione volontaria ha trasformato il dolore da conseguenza della fede in sua condizione costitutiva vanificando anche concettualmente la funzione cristica della liberazione. Nella tradizione ebraica e nella cultura stoica, il dolore, invece, รจ causa di trasformazione: si affronta per superare i limiti e rafforzare la resistenza per obiettivi venturi. Nel cristianesimo tardoantico e medievale, invece, diventa una meta: il dolore si accoglie per rimanerci.

In tutta sinceritร , qualcosa di disgustoso che anzichรฉ liberare incatena, tradendo quindi completamente la mistica messianica del liberatore.

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