Sant’Agostino e la teoria della predestinazione
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La teoria agostiniana della predestinazione affonda le sue radici dalla lettura rigorosa delle Lettere di san Paolo, in particolare dei passi dell’Epistola ai Romani (9, 10–24). Agostino interpreta quelle pagine come prova che la salvezza non è frutto della volontà o degli sforzi umani, ma di un atto sovrano della grazia divina.

Questa visione si collega alla concezione agostiniana del peccato originale: l’umanità intera è caduta e, di conseguenza, è radicalmente corrotta e incapace di salvarsi senza un intervento diretto di Dio.
La dottrina della predestinazione, nella forma proposta da Agostino d'Ippona (354–430), nasce come risposta teologica all'eresia pelagiana. Pelagio sosteneva che l'uomo potesse raggiungere la salvezza con le sue sole forze, esercitando correttamente il libero arbitrio. Agostino, al contrario, afferma che dopo il peccato originale, l’essere umano ha perduto la capacita di volgersi spontaneamente al bene: è la grazia di Dio, e solo quella, a rendere possibile la salvezza.
Le idee di Pelagio
Pelagio, attivo tra la fine del IV e l’inizio del V secolo, propone una visione teologica radicalmente diversa da quella di Agostino. Secondo lui, l’uomo conserva intatta la libertà morale anche dopo il peccato originale. La salvezza si ottiene con l’esercizio della volontà, l’imitazione di Cristo e la pratica delle virtù. Se il Vangelo impone dei precetti, sostiene Pelagio, allora l’uomo dev’essere in grado di osservarli.
La sua visione riflette un’ispirazione razionalista e morale, vicina per certi aspetti allo stoicismo: responsabilità personale, capacità di autogoverno, fiducia nelle forze interiori dell’individuo. Pelagio rifiuta ogni forma di determinismo, sia esso teologico o astrologico. L’uomo è libero, e se pecca, è pienamente responsabile; se si salva, è perché ha scelto il bene con coerenza.
Grazia e predestinazione
Per Agostino, i meriti personali non contano. Nessuno si salva per quello che fa. L’unica cosa che salva è la grazia divina, concessa da Dio secondo un disegno eterno e misterioso. Dio, nella sua onniscienza, sceglie fin dall’eternità chi salvare: questi sono i predestinati. Gli altri, semplicemente, non ricevono la grazia efficace e quindi non possono salvarsi.
Questa scelta non si basa su opere, comportamenti o intenzioni: è totalmente gratuita. Anche la fede è un effetto della grazia, non la sua causa. Chi crede, lo fa perché è stato scelto. Chi non crede, non è stato abbandonato perché colpevole: è colpevole perché abbandonato.
«La predestinazione dei santi è il presciente e preparatore dono di Dio, per il quale sono certamente liberati tutti coloro che sono liberati.»
(De praedestinatione sanctorum, 3,7)
Nessuna uscita dalla predestinazione
La predestinazione, in Agostino, è irrevocabile. Non si può entrare o uscire da essa: è decisa da Dio prima della nascita. Nessuno può saperlo con certezza nella vita terrena, ma la salvezza non si conquista e non si perde. I comportamenti buoni, se ci sono, sono il frutto della grazia, non la sua condizione.
Chi è predestinato, riceve la grazia che trasforma interiormente la volontà e rende possibile volere il bene. Chi non la riceve, resta privo di quella forza interiore: non perché rifiuta Dio, ma perché Dio non ha scelto di donargli quella capacità.
«Non dipende da chi vuole, né da chi corre, ma da Dio che usa misericordia.»
(De diversis quaestionibus ad Simplicianum, I, 2,13)
Il bene non è nelle azioni
Nel pensiero agostiniano, il bene non consiste nelle azioni visibili, ma nell’intenzione interiore orientata a Dio. Una persona può compiere atti giusti o caritatevoli, ma se non lo fa per amore di Dio, tali atti non hanno valore salvifico. E questo amore per Dio non nasce da sé: è anch’esso frutto della grazia.
L’uomo, lasciato a se stesso, non può volere il vero bene. Solo la grazia divina può correggere la volontà corrotta e inclinarla verso Dio. Per questo motivo, anche le opere più virtuose, se fatte senza grazia, restano inefficaci sul piano della salvezza.
«È certo che siamo noi a fare, quando facciamo; ma è Lui a fare sì che noi facciamo, fornendo forze efficacissime alla volontà.»
(De gratia et libero arbitrio, XVI, 32)
Un mistero giusto e insondabile
Agostino ammette che la dottrina della predestinazione è dura. Ma insiste sul fatto che Dio è giusto, anche se i suoi criteri non ci sono noti. Non c'è ingiustizia nel fatto che alcuni siano salvati e altri no: c'è misericordia per alcuni, e semplice giustizia per gli altri.
L’idea che Dio scelga senza criteri conoscibili genera angoscia, ma per Agostino questa è la realtà dell’uomo caduto. La speranza è possibile solo per chi riceve la grazia. Non ci sono segni esteriori certi della predestinazione, ma la perseveranza nella fede e nell’umiltà può esserne indizio.
Somiglianze con la dottrina gnostica
Alcuni studiosi, tra cui Hans Jonas (Lo gnosticismo e lo spirito dell’antichità tardiva, 1958), Eric Voegelin (Order and History, 1956–87) e Giuseppe Fornari, hanno segnalato affinità tra la dottrina agostiniana della predestinazione e la concezione gnostica degli uomini divisi per natura in ilici, psichici e pneumatici. In entrambi i sistemi, la salvezza dipende da una condizione iniziale non modificabile: nel caso degli gnostici, una struttura ontologica irrimediabilmente tripartita; in Agostino, una scelta eterna e gratuita da parte di Dio. Tuttavia, mentre lo gnosticismo suppone l’esistenza di nature diverse create da un demiurgo imperfetto o maligno, Agostino afferma che tutta l’umanità è caduta e che Dio, per pura misericordia, sceglie di salvare alcuni, senza poter dire nulla riguardo alle motivazioni.
Conclusione
La teoria agostiniana della predestinazione segna un punto radicale nella teologia cristiana: la salvezza è interamente opera di Dio, senza spazio per il merito umano. È una visione che toglie all’uomo ogni potere sulla propria sorte eterna, ma che, nelle intenzioni di Agostino, esalta la potenza della grazia e la libertà assoluta di Dio.
Influenze e controversie successive
Il pensiero agostiniano sarà ripreso da Tommaso d’Aquino in una forma più equilibrata. Avrà enorme influenza su Martin Lutero e Giovanni Calvino, che lo radicalizzeranno. È alla base della distinzione tra teologia cattolica (che tempera la predestinazione con la cooperazione umana) e teologia protestante riformata (che enfatizza l’elezione incondizionata).