L’illusione del Tasso di Occupazione (come si calcola)
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Il tasso di occupazione è una delle statistiche più citate di sempre dai governi, per dimostrare il successo delle loro politiche economiche. Si sente ripetere con entusiasmo che “L'occupazione è in crescita!”, come se fosse un indicatore oggettivo della prosperità collettiva. Ma cosa significa davvero questa cifra? E soprattutto, quanto ha senso prenderla sul serio?

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L'illusione dei numeri delle statistiche economiche
Il tasso di occupazione si calcola dividendo il numero di occupati per la popolazione attiva in età lavorativa. Fin qui, nulla di strano, ma il problema è nel concetto stesso di “occupato” e in quello di “inattivo”.
Chi sono gli occupati
Basta aver lavorato una sola ora nella settimana di riferimento per rientrare nella gloriosa statistica degli occupati. Sì, proprio così: chi ha svolto un'attività lavorativa per appena sessanta minuti in una settimana viene conteggiato come occupato, anche se di fatto è un disoccupato, senza reddito per vivere.
Un lavoretto occasionale di poche ore fa salire il tasso di occupazione calcolato, ma non l'occupazione reale, né la qualità della vita.
Tasso di occupazione=(Numero di occupati / Popolazione in età lavorativa)×100
Perciò, anche se il lavoratore ottiene lavoretti saltuari, e non arriva a fine mese, risulta occupato quanto il dirigente con stipendio a cinque zeri. Anche chi lavora una o poche ore a settimana è considerato occupato, pur portando a casa poche decine di euro di retribuzione.
Cresce l'occupazione, ma di che tipo?
Un'altra distorsione è l’inclusione nel calcolo del tasso di occupazione di qualsiasi forma di impiego, indipendentemente dalla stabilità o dal salario. Il boom dei contratti a tempo determinato, del part-time involontario e delle partite IVA mascherate viene celebrato come una crescita dell’occupazione, senza chiedersi se le persone riescano effettivamente a vivere con quei lavori. E così, mentre il tasso di occupazione cresce, aumentano anche la povertà lavorativa e le disuguaglianze.
Lavoro sottopagato? Nessun problema!
Un altro dettaglio trascurato è il valore economico del lavoro svolto. Se il lavoro aumenta, ma i salari reali scendono, dovremmo davvero festeggiare? Si può avere un paese con un tasso di occupazione altissimo in cui, però, la maggioranza delle persone fatica ad arrivare a fine mese. L’occupazione di per sé non dice nulla sul benessere reale: se la metà dei lavoratori è sottopagata, il dato statistico rimane comunque positivo agli occhi degli economisti, ma non a quelli di chi deve pagare affitto e bollette.
La retorica dell’occupazione da record
Ogni volta che esce un nuovo dato sull’occupazione, i governi in carica lo usano come trofeo: “Mai così tanti occupati!”, “Tasso di occupazione al massimo storico!”. Senza tenere conto dell'aspetto sopra descritto e che la realtà delle persone potrebbe essere per niente migliorata: salari nulli o bassi, precarietà diffusa e instabilità. Se l’occupazione aumenta, ma il benessere sociale resta immobile, forse ci stiamo concentrando sul dato sbagliato.
Conclusione
Il tasso di occupazione è un numero macroeconomico più utile alla propaganda politica che alla politica economica, poco indicativo della qualità della vita e del reale livello di occupazione. Si tratta di un dato statistico che si presta a manipolazioni, favorisce illusioni e semplificazioni grossolane.
Festeggiare un aumento del tasso di occupazione senza considerare che hai considerato occupate le persone che lavorano 1 ora a settimana… sa un po' di presa in giro. Lo fanno tutti i politici da sempre, quello che mi ha sempre meravigliata e preoccupata di più è che lo fanno gli economisti.
P.S. è una questione statistica che mi assilla da parecchi decenni… Qui un mio precedente articolo (annata 2014) sull'argomento occupazione e disoccupazione.
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